Innalzato agli onori della cronaca dal caso Wikileaks, il termine ” wiki ” ha un origine ben più radicata nella cyber cultura. Come si legge su Wipedia, ” il wiki è un sito web che permette ai propri utenti di aggiungere, modificare o cancellare contenuti […] Si tratta di una raccolta di documenti ipertestuali che viene aggiornata dai suoi stessi utilizzatori e i cui contenuti sono sviluppati in collaborazione da tutti coloro che vi hanno accesso (contenuto generato dagli utenti) ” . La stessa Wikipedia, la prima enciclopedia online realizzata grazie all’intervento dei suoi utilizzatori, è l’esempio più noto e universalmente diffuso, anche se le applicazioni più interessanti riguardano la diffusione di software open source, con i conseguenti cambiamenti degli ambienti di lavoro.
Quali sono le conseguenze che si producono sul piano sociale? Primo fra tutti il sovvertimento delle gerarchie (delle notizie, delle fonti, degli autori) che assumono una tendenza policentrica e non più verticistica; questo elemento che è alla base della presunta democraticità della rete, non è immune da critiche e contraddizioni. In secondo luogo, la conoscenza supera un processo cumulativo di tipo lineare-orizzontale per seguire la dinamica reticolare propria dell’ipertesto, capace di assecondare gli interessi del fruitore finale. Infine, aumentano gli spazi di partecipazione anche per coloro che avrebbero preso le distanze da canali maggiormente istituzionalizzati.
I presupposti tecnologici
Il supporto tecnologico è l’elemento indispensabile all’affermazione della wiki-society, anche se da solo non è sufficiente a restituire lo spirito che la anima.
Secondo la rilevazione dell’Istat del 2012 sui cittadini e le nuove tecnologie, in Italia poco più della metà dei cittadini dispone di un accesso a Internet (55,5%) e di un personal computer (59,3%), segno dell’invecchiamento della popolazione. Infatti, le famiglie con almeno un minorenne sono le più tecnologiche: l’83,9% possiede un personal computer, il 79% ha accesso a Internet e il 70,8% utilizza per questo una connessione a banda larga. Al contrario le famiglie di soli anziani di 65 anni e più, presentano livelli di dotazioni tecnologiche alquanto modesti: appena il 13,9% di esse possiede il personal computer e soltanto l’11,8% dispone di una connessione per navigare in Internet.
Secondo i dati elaborati dall’Oxford Internet Institute, sulla penetrazione mondiale di Internet, mentre in alcuni paesi (Canada, Nord Europa) si arriva all’80 percento di penetrazione, l’Italia si colloca nella categoria di paesi con una penetrazione tra il 40 e il 60 percento, con qualche divario tra il nord e il sud del paese.
La cultura partecipativa e il modello collaborativo
Senza cedere al cyber-profetismo, tanto in voga negli ultimi tempi, è certo che siamo in presenza di una rivoluzione culturale di portata epocale i cui esiti sono ancora da verificare. I mutamenti che investono la wiki-society sono debitori nei confronti di una cyber cultura che permea l’universo delle nuove tecnologie: espressioni quali sharing, peering, connecting, open source sono infatti entrate nel linguaggio comune e denotano, a partire proprio dal linguaggio, apertura e condivisione e l’idea di un’intelligenza collettiva che produce a sua volta una conoscenza cumulativa, che si accresce grazie al contributo di ognuno (P. Aigrain, Sharing. Culture and the Economy in the Internet Age, Amsterdam, Amsterdam University Press, 2012).
D’altro canto sono proprio i media digitali ad aver favorito, come afferma Jenkins, l’affermazione di una ” cultura partecipativa ” (H. Jenkins, Culture partecipative e competenze digitali, Milano, Guerini, 2010, p. 67), definita come una cultura con:
- barriere relativamente basse per l’espressione artistica e l’impegno civico;
- un forte sostegno per la creazione di materiali e la condivisione di creazioni con altri;
- una qualche forma di tutoraggio informale attraverso cui i partecipanti più esperti condividono conoscenza con i principianti;
- individui convinti che contribuire sia importante, e individui che sentono un qualche tipo di legame sociale che li connette gli uni con gli altri (perlomeno, sono interessati a ciò che le altre persone pensano di quello che hanno creato)
Il livello di partecipazione può variare da individuo a individuo, ma tutti devono credere di essere liberi di poterlo fare e essere certi che il loro contributo sarà valutato appropriatamente.
Il Regolamento condiviso
In un saggio del 1997 intitolato ” Introduzione all’amministrazione condivisa ” , il presidente di Labsus, Gregorio Arena, aveva ipotizzato che l’amministrazione pubblica italiana stesse evolvendo verso un nuovo modello organizzativo fondato sulla collaborazione, anziché sul conflitto fra cittadini e amministrazioni.
L’adozione da parte del Comune di Bologna del ” Regolamento sulla collaborazione fra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani ” , il 22 febbraio del 2014 segna il punto di arrivo di una “rivoluzione collaborativa” che trova un riscontro anche nel modo in cui Labsus ha scelto di promuovere il Regolamento.
Il Regolamento infatti è scaricabile gratuitamente dal sito di Labsus, e l’unica cosa che si chiede in cambio è un aiuto per miglioralo, inviando la versione modificata dalle singole realtà che hanno scelto di adottarlo. ” In questo modo – afferma il presidente di Labsus – nel corso del tempo si andrà formando una sorta di catalogo delle varie versioni del regolamento, adattate a diverse realtà del nostro Paese, consentendo a chi lo vorrà di poter scegliere la più vicina alle esigenze della sua amministrazione ” . Insomma, una sorta di regolamento open source, una wiki-sussidiarietà che, come il software libero, migliora nel tempo grazie al contributo dei suoi utilizzatori.